GLI SCALPELLINI LOCALI

Gli scalpellini, esperti nella lavorazione della pietra, producendo colonne, capitelli, altari nelle chiese, balconi e gattoni per sostenerli, portali, arcate, conci squadrati e la chiave dell’arco, maschere, fregi, gli attacchi per gli animali, rosoni, comignoli, balaustre , hanno donato al nostro paese di Noci, con il loro impegno e l’ingegno, una ricchezza originale e inestimabile che merita, da parte nostra, attenzione e un giusto riconoscimento.
Nei giorni odierni è sufficiente muoversi con occhio vigile, lungo le stradine del centro storico, per cogliere tanti particolari della pietra lavorata che disegna le linee delle case.
I grandi tetti spioventi e rivestiti di pietre piatte, le strade lastricate, ci porteranno alla mente l’immane lavoro dei maestri trullari, dei muratori (fabbricatori), dei pavimentatori di stradine e di locali (chiancatari).
Tanti erano coloro che lavoravano la pietra locale per comporre un nucleo abitato che ancora oggi è l’ammirazione di quanti vengono ad osservare la nostra realtà territoriale.
Sono pure un ricordo i cumuli di breccia che gli spaccapietre, con mazzuole di ferro, producevano per riempire e poi consolidare con terreno e sabbia, nei mesi invernali, le buche che le ruote dei carri avevano prodotto lungo le carreggiate.
La pietra, risorsa del nostro territorio, ovunque era tenuta in buona considerazione. La campagna circostante al paese è stata organizzata con la pietra. I muri a secco hanno delimitato i carrai, circoscritto i campi coltivati, difeso gli animali domestici nelle corti, bloccato lo smottamento del terreno verso gli avvallamenti. Lungo il ciglio della collina da bonificare si scavavano le fondamenta dove si affondavano i macigni che dovevano formare il basamento del muro a secco di contenimento del terreno. Realizzato il muro, con inclinazione verso il colle, si avvicinava la terra per originare il primo terrazzamento. Continuando a scavare lungo il pendio della collina si ricavavano altre pietre che, divise per dimensioni e forma, dovevano servire per realizzare i successivi gradoni. Ogni pietra aveva la sua funzione e niente era abbandonato: i blocchi più grandi formavano le due file perimetrali, distanziate di una ventina di centimetri, in cui si collocavano le altre pietre di grandezza inferiore.
I trulli, le masserie di pietra, raccontano ogni giorno la storia dei nostri avi. Quella storia che deve essere appresa dalle nuove generazioni per non crescere da inconsapevoli.
Svariati secoli addietro una buona parte del nostro territorio era utilizzata a pascolo solo d’inverno, perché d’estate, a causa della siccità, era privo di vegetazione erbacea. Per questo motivo gli uomini che si dedicavano all’allevamento degli animali domestici erano costretti a praticare la transumanza, in pratica a trasferire gli armenti e le mandrie su altri territori più ospitali.
Verso il 1600 gli Enti Ecclesiastici nocesi che beneficiavano di privilegi dal Regno e alcuni signorotti, iniziarono a sfruttare al meglio i propri possedimenti terrieri e fecero realizzare le prime masserie: costituite da nuclei di trulli e da recinti di pietra dove custodire gli animali allevati.
Negli anni che seguirono, alle tipologie abitative a trullo, furono accorpate le costruzioni a tetti spioventi. Ogni masseria fu opportunamente circoscritta da alte mura e ben fortificata, arricchita di merli, di torrette d'avvistamento, di feritoie nei muri perimetrali e di spioncini nelle robuste porte fatte di legno di quercia, per difendersi da piraterie di ogni sorte e dal brigantaggio, molto ricorrente nel 1800. Parecchi terreni furono disboscati e avviati alla coltivazione di cereali e di piante da foraggio. Si costruirono altre masserie, si scavarono nella roccia cisterne di varia capacità per raccogliere l’acqua piovana che doveva servire per dissetare uomini ed animali, specie nei mesi d'arsura.
Le risorse territoriali, l’ingegno umano e l’utilizzazione di una tecnologia personale, avevano permesso al massaio di stabilizzarsi per tutto l’anno nella masseria.
Attualmente, la custodia e la conservazione delle tipiche masserie nocesi sono demandate agli agricoltori, ai massai e ad anziani proprietari terrieri che, dalla comunità locale, devono essere sollecitati a realizzare restauri, affinché non vada perduto tanto patrimonio di un’arte tramontata.
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Scalpellini nocesi.

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