Caldaia di rame rivestita, internamente, di stagno.

Caldaia di rame non rivestita, internamente, con stagno.

IL CALDERAIO

Per soddisfare i bisogni umani sono necessarie risorse, materie prime, oggetti e strutture.
L’uomo trasforma le risorse attraverso i processi produttivi e giunge ad ottenere beni utili alla sua sopravvivenza.
Gli artigiani del passato, con poche attrezzature, producevano pezzi unici o serie limitate che soddisfacevano l’esigenza di piccole comunità.
Ogni bottega, di modeste dimensioni, diretta da un maestro d’arte, aveva un sistema produttivo, e i risultati dipendevano dalle capacità individuali dei dipendenti. L’attività produttiva passava di padre in figlio, infatti, il maestro insegnava i segreti della sua arte ai suoi discendenti o ad un numero esiguo di discepoli.
Sin da 4000 anni a. C., in Asia Minore, il rame è stato utilizzato per formare armi. Nel Medioevo, gli artigiani, per modellare caldaie, paioli e casseruole, impiegavano lamiere di rame dello spessore massimo da 0,5 mm, che battevano con martelletti a testa sferica, da sbalzo, sopra i contro stampi costituiti di legno di quercia.
Per il fenomeno dell’incrudimento, il rame battuto, diventa duro e non riacquista la malleabilità primitiva se non è ricotto, ossia riscaldato convenientemente e poi lasciato raffreddare lentamente.
I manufatti prodotti dal calderaio trovavano largo impiego nei caminetti rurali e nelle cucine dei tempi andati. Attualmente, i contenitori di rame, non sono più impiegati in cucina, poiché è stato dimostrato che il rame, a contatto con alimenti acidi, produce sostanze tossiche per l’uomo. I calderai risolvevano tale problema e quello dell'ossidazione del rame, rivestendo internamente i contenitori con uno strato di stagno, dopo averlo fuso ad una temperatura di 232° C.
Per realizzare la stagnatura di una caldaia bisognava eseguire, inizialmente, un breve lavaggio con solfato di rame o con acido nitrico, e successivamente con acqua. L’ossido che si era originato nella caldaia, con una miscela cotta d'acido muriatico, zinco e sale ammoniacale, era eliminato.
Lo stagno vergine, vale a dire puro, e non quello per saldature che invece è legato con il piombo, quest’ultimo molto venefico per l’uomo, allo stato fuso, con ciuffi di canapa era tirato sul rame come se si volesse spalmare tutto l’interno con burro. Completata l’operazione si versava acqua fredda per renderlo brillante.
I casari, i pastori e i massai per cagliare il latte, usavano solo caldaie di rame rivestite di stagno, perché nel processo di caseificazione si sviluppava una reazione acida.
Nei grandi caminetti delle masserie, attraverso un manico a forma di semicerchio, la caldaia si sospendeva alla camastra del camino, o nelle cucine più evolute, s’inseriva dall’alto, quasi del tutto, in un abitacolo di muratura, per ricevere calore dalla fiamma della legna che bruciava di sotto. Le cucine ricavate con la muratura, a differenza dei caminetti, erano dette “economiche”, perché non disperdevano il calore e permettevano un risparmio di combustibile.
A Noci e nei comuni limitrofi, sino a trent’anni addietro, erano presenti alcuni apprezzati artigiani del rame. In un interrato che si affacciava su Piazza Plebiscito, sin dalle prime ore del mattino, si poteva ascoltare il cadenzato martellare della lamiera di rame che il signor Guagnano, con grand'abilità e competenza, riusciva a modellare in caldaia. Il bravo artigiano, specie nei giorni di mercato e nelle ricorrenze delle varie fiere annuali, esponeva, all’ingresso della bottega, i vari manufatti che erano tanto richiesti dagli abitanti del luogo e del circondario.
L’attività del calderaio è ormai estinta, e a noi non resta che immaginare questa figura, ricordando tutti quegli uomini che hanno lavorato con passione e competenza.

Calderaio all'opera.

CALDAIA APPESA ALLA CAMASTRA