Trebbiatura dei cereali.


IL LAVORO UMANO

In antichità il lavoro era ritenuto indegno di un uomo libero che, di solito, si dedicava alla caccia, alla politica, all’amministrazione della giustizia, dell’arte e della ricerca filosofica e scientifica. Agli schiavi, per obbligo, erano demandati tutti i lavori manuali. Solo in seguito all’abolizione della schiavitù, dopo la caduta dell’impero romano, lentamente, in Europa, nei comuni gli abitanti iniziarono a dedicarsi alle attività artigianali e a quelli commerciali.
Tanti lavoratori erano liberi perché gestivano in proprio un’attività e, come tale, erano padroni del proprio lavoro. Con l’avvento della prima rivoluzione industriale, nel 1769, e ancora di più con la seconda rivoluzione industriale del 1850-1870, il suddetto equilibrio venne meno perché le tecniche e i ritmi di produzione di beni erano più rapidi e meglio organizzati, rispetto alle botteghe artigianali, perciò, queste ultime, furono chiuse e gli operai assorbiti dalle industrie.
Ancora oggi, da un lato, pochi uomini sono ricchi e potenti, padroni delle fabbriche e di tutti i mezzi di produzione; dall’altro, tanti lavoratori sottomessi e privi di ricchezza. La giornata lavorativa, che in passato durava dall’alba al tramonto, in parecchi contratti collettivi è stata ridotta a meno di 40 ore settimanali.
Tante cose sono cambiate anche nel mondo contadino che fa parte della nostra identità territoriale. Le campagne che una volta brulicavano di braccianti che si dedicavano ai lavori agricoli stagionali sembrano, adesso, zone isolate ove si muovono grandi trattori che trainano macchine agricole, manovrati da uomini solitari racchiusi in cabine metalliche: necessarie per riservarli dalle intemperie, dalla polvere e dall'incidenza dei raggi solari.
A Giugno, per i campi di grano, sempre più rari, non ci sono più squadre di mietitori, d'addetti a formare covoni e a raccoglierli in biche. Per le messi non si ode più l’accanito vocio degli uomini che incitava gli animali da traino a svolgere il proprio lavoro, il canto, il fischietto intonato, gli allegri richiami dei viciniori.
Tutte le contrade erano animate da un muoversi di persone indaffarate ad eseguire il raccolto che la natura stava offrendo a conseguenza del lavoro braccianticolo di tanti mesi.
Il paesaggio sta cambiando e nella campagna, per le distese delle chiusure, in ordine sparso, l’ignaro viandante, che si muove in veloci automobili su strade ampie ed asfaltate, osserva le grandi balle di foraggio a forma cilindrica che solitarie, verso sera, quando scendono le tenebre, rimangono a guardia del silenzio della natura.
L’ambiente assume nuovi connotati e della realtà del passato rimangono le ombre dei ricordi di tutti quegli uomini che ci hanno preceduto nel viaggio tra la natura.
Attraverso una passeggiata mattutina, tempo permettendo, proviamo a gustare, in questo periodo dell’anno, l’odore del fieno mietuto da poco e in fase d’essiccamento, o quello dell’origano che fiorisce tra le pietraie assolate che fungono da tane per serpenti e lucertole. Raccogliamo gli scapi fiorali dell’origano ed essicchiamolo per poterlo utilizzare, poi, per aromatizzare le friselle condite con olio e pomodoro, o per arricchire la cialda d’acqua, sale, olio e pomodori in cui spezzettare il pane stantio; così come facevano i nostri nonni. Riscopriamo in questo modo i sapori forti e caratteristici della nostra terra.

Campo con tanti covoni di grano.

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Allestimento di una grande bica di grano.

Rotoballe di paglia sparse nelle chiusure delimitate da muri a secco.

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