La melanzana

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Coltivata nelle nostre terre, la melanzana è una pianta d'origine indiana, con le bacche di colore bruno tendente al violaceo o anche bianco. E’ un ortaggio che, come il pomodoro, si coltiva a pieno campo nei mesi caldi dell’anno. Il nome melanzana deriva da malum insanum (mela insana), perché all’origine, quando fu conosciuta in Italia, era considerata velenosa e si pensava che alcune sue sostanze facessero impazzire.
Le bacche, aromatiche, di forma allungata ed ovoidale, sono particolarmente utilizzate nella cucina famigliare per preparare minestroni o per ottenere piatti specifici. La melanzana, nei posti di ristoro alimentare, è consumata abbondantemente dopo essere stata fritta in olio e utilizzata per preparare la “parmigiana”.
Nei tempi passati, fatta a fette e opportunamente trattata con sale, prima, e con aceto successivamente, era conservata sott’olio nei vasi di terracotta, con aggiunta d’aglio e di foglie di menta.
I nostri ortolani, per la gran richiesta delle bacche da parte delle massaie, hanno sempre coltivato la suddetta pianta, anche se richiedeva abbondanza d’acqua: risorsa questa ultima non sempre sufficiente sul territorio nocese, specie nei mesi estivi.
Ancora oggi, come in passato, con le melanzane, le massaie preparano un secondo piatto, denominato “i mulengéne chiéne”, molto apprezzato per il suo gusto intenso.
Le mamme del passato si levavano molto presto, nei giorni di festa, per cavare e spezzettare l’interno d'ogni bacca, tagliata a metà sulla parte più lunga. Successivamente, per togliere alcune sostanze amarognole, l’interno a melanzana veniva immerso in acqua abbondante, che si cambiava per più di una volta. Scolato e soffritto, era rivoltato in una coppa di creta, contenente formaggio pecorino e pane grattugiato, uova e foglie di basilico finemente tagliate. L’impasto doveva servire per riempire le singole “cosche”: così nominavano le due metà della bacca svuotata, dopo che erano state soffritte in olio. Messe le “cosche” in ampi tegami e condite con abbondante sugo di pomodori di stagione, le mamme portavano il tegame nei forni comuni del paese, oppure li collocavano sopra i treppiedi che sormontavano i carboni ardenti del caminetto. Per far rosolare il sugo che copriva le melanzane, le donne ponevano sopra al tegame una campana cilindrica di latta su cui distribuivano altri carboni ardenti.
A fuoco lento le melanzane cocevano e gli odori intensi si propagavano nell’ambiente, mentre cipolla e pomodoro rosolavano.
Le melanzane ripiene e le polpette d’uovo inumidite con sugo di pomodoro erano il secondo piatto della gente povera, nei giorni festivi dell’anno. Solo nelle grandi circostanze e nella ricorrenza di particolari festività si consumava la carne, di solito bianca, con contorno di patate tagliate a fette e muscari (lampasciùn), cotti insieme, in grandi tegami, con lo stesso procedimento descritto prima.
Nella nebbia dei ricordi del passato, nei miei anni verdi, non dimentico di quella mia mamma paziente e generosa che, instancabile, impastava sul tavoliere la farina di semola per poterne ricavare, poi, orecchiette da consumare come primo piatto, condite con cacio-ricotta e sugo di pomodoro.
Lontano dai rumori, nelle contrade campagnole si trascorrevano i periodi di riposo e si cercava refrigerio, alla calura estiva, all’ombra di un noce o di un fico.
Si privilegiava la sera per riunirsi tra famiglie e chiacchierare sotto le stelle, seduti su panche di pietra o sui bassi muretti a secco che delimitavano l’abitato contadino. Era piacevole assaporare la frescura dopo una giornata di caldo intenso, ascoltare il frinire della cicala sull’albero o le fanciulle, che intonavano canzonette con tanta spensieratezza.
Con il trascorrere del tempo, i bimbi, ormai esausti, si abbandonavano al sonno e i raggi della luna illuminavano i loro visini sporchi di terra, mentre, i genitori, guardando lontano nel cielo immenso, il luccichio delle stelle, meditavano e pensavano alla grandiosità dell’universo, all’ignoto, a quell’andare per la vita.
Oggi, per scelte fatte o per nuove abitudini, ognuno di noi, non riesce più a fermarsi sotto le stelle a riflettere, a meditare, ad essere più razionale.

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