I GIACIGLI DEL PASSATO

Mio padre, come bracciante agricolo, ha trascorso una buona parte della sua esistenza, lavorando nei campi. Il lavoro per alcuni mesi dell’anno mancava ed egli, per non privare i suoi figli dell’essenziale per sopravvivere, svolgeva altre mansioni in una grande masseria del territorio martinese, nel quale si praticava allevamento di bovini, ovini e caprini, oltre alla coltivazione dei campi.
Un giorno del mese di luglio, ricordo che mio padre, sopra uno sciàraballe, o sopramolle trainato da un mulo, prestato dal massaio per la circostanza, portò a casa alcune balle di paglia d’orzo (pagghé à riscìne) che mamma avrebbe dovuto impiegare per rifare i materassi.
A quei tempi, di poco oltre gli anni cinquanta del secolo scorso, era d'uso comune, in ogni famiglia modesta, rifare i materassi, vale a dire cambiare la paglia d’orzo o quella ottenuta dagli involucri delle pannocchie di mais, perché logora e facile a sviluppare polvere.
I sacconi di tela grezza, ottenuta con la tessitura manuale, in formato adatto per letto matrimoniale o per quello singolo, erano dotati sulla facciata superiore di quattro o due fenditure di una ventina di centimetri ognuna, attraverso cui si rimuoveva la paglia con una forcella di legno, affinché il giaciglio fosse più soffice.
Ogni saccone, piccolo o grande che fosse, si collocava sopra tavole piane sostenute da cavalletti di ferro (gli sturtédr) che i bravi fabbri nocesi realizzavano nel proprio laboratorio artigianale.
Il rifatto giaciglio sembrava, ai nostri occhi infantili, un promontorio su cui non sarebbe stato facile dormire, oltre al rischio di finire, inavvertitamente, sul pavimento. Poi, con il passare dei giorni, il materasso spianava e si poteva dormire con tranquillità, specie quando bisognava ritemprare il corpo che era stato sottoposto a faticosi lavori manuali.
Il riempimento dei sacconi, con le brattee o cartocci delle spighe del granoturco, si eseguiva a settembre, quando le piante di mais raggiungevano la completa maturazione.
Per tutto il periodo estivo, lungo le tortuose e strette vie cittadine, era facile imbattersi in carretti carichi di balle di paglia, trainati da piccoli asini. Le massaie compravano la suddetta paglia e programmavano il rifacimento dei propri materassi.
L’estate, pertanto, era la stagione in cui si realizzava la pulizia più approfondita della piccola casa. Non mancava mai, in tale circostanza, l’imbiancatura e la disinfestazione delle mura domestiche con latte di calce.
L’imbianchino o “ ù lattatòre”, come si soleva dire a Noci, dopo aver diluito in acqua la calce spenta, munito di un grande pennello a forma circolare (ù scùpule) che fissava con uno spago all'estremità di una lunga canna, pitturava pareti interne ed esterne della casa.
La figura dell’imbianchino, come quella di tanti altri bravi artigiani locali, sta scomparendo assieme a una tradizione che distingueva i centri abitati del territorio che abitiamo.

Letto comune del passato.

Letto signorile del passato.

Imbianchino.

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