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Sacco di juta pieno di carbone vegetale.


LE CARBONAIE

Il fragno, Quercus Trojana, pianta che ha preso il nome dalla sua presenza presso la vecchia città di Troja, in Asia Minore, forma, sulle murge del territorio nocese, boschi puri o misti ad altre specie quali: Leccio, Roverella e Quercia Spinosa.
Gli alberi di quercia producono legna a struttura fibrosa compatta e fine per questo, se bruciata, si consuma lentamente con fiamma corta.
In passato, nei boschi, i boscaioli lavoravano sodo per abbattere gli alberi e fornire le varie famiglie di legna da ardere per cuocere i cibi e per riscaldare gli ambienti domestici.
La combustione della legna, nei caminetti domestici, sviluppava fumi che, se non riuscivano ad uscire attraverso il camino, si propagavano nell’ambiente e rendevano l’aria irrespirabile.
Fu proprio la necessità di eliminare i fumi dagli ambienti e dal contatto diretto con i cibi in fase di cottura che spinse l’uomo a produrre il carbone vegetale nei boschi, sottoponendo la legna ad un lento processo di distillazione in assenza d'aria, dopo che i boscaioli avevano provveduto al taglio degli alberi di fragno.
I carbonai, con un telaio di legno simile ad una barella, conosciuto con il nome di “vuaiarde”, trasferivano la legna sulla zona dove si doveva attuare la carbonaia.
La carbonaia, a base circolare e a forma di tronco di cono, all’incirca simile alla cupola di un trullo, si ricavava disponendo a catasta, pezzi di legna di quercia lunghi da 80 a 100 centimetri e dello spessore medio di 10, sullo spiazzo di un punto qualsiasi del bosco.
La catasta di legna, alta quasi tre metri, presentava al centro della sommità un foro circolare del diametro di una trentina di centimetri: parte terminale di un camino cilindrico che iniziava dal piano del terreno. La carbonaia si completava con pezzi di legna disposti a catasta per circa un metro di altezza, poi si disponevano attorno altri pezzi in posizione obliqua.
Si continuava a porre legna in circolo e altra poggiata sopra obliquamente, tanto da formare un cumulo ben strutturato. Tutto l’insieme era coperto con rametti, foglie secche o paglia e con uno strato di terra umida che, opportunamente pressata, non permetteva l’ingresso d'aria. Si ultimava il cumulo realizzando, su una parte di una sua superficie, con pietre e traversine di legno, una scaletta che sarebbe servita per accedere sulla sommità, presso l’imbocco del camino.
Dall’imbocco del camino si calavano alcuni tizzoni ardenti, foglie e rametti e, dopo aver avviato la combustione, si chiudeva il camino con rametti, foglie e terra per non fare entrare altra aria che poteva originare la completa combustione della legna. A questo punto, quasi in assenza d'ossigeno, iniziava la parziale combustione della massa di legna con evaporazione d'acqua, sostanze gassose e liquide. In rapporto alle condizioni atmosferiche e alla quantità d'umidità presente nella legna, ad una temperatura di 400 gradi centigradi, per azione delle sostanze gassose che si sviluppavano nel processo di distillazione, dopo otto nove giorni si otteneva il carbone.
Lungo il processo di carbonizzazione della legna, la carbonaia, era vigilata sia di giorno sia di notte perché la mancata sorveglianza poteva causare l’intera combustione della legna accumulata.
Dal pagliaio, dove i carbonai si riposavano, ogni due ore, nella notte, al lume di una lampara a petrolio, si recavano ad ispezionare le carbonaie per controllare la combustione della legna messa nel camino, allargando o riducendo i piccoli fori prodotti alla base della struttura che, servivano per fare entrare la giusta quantità d'ossigeno.
Verso il quinto giorno si originavano alcuni fori anche sul cumulo, per fare uscire, lentamente, i fumi e i vapori.
A cottura completata, quando dalla carbonaia che si era ridotta di dimensioni iniziavano a liberarsi fumi di colore azzurro, gli abili carbonai capivano che il carbone era pronto e pertanto con pale, rastrelli e picconi, provvedevano alla graduale apertura del cumulo e allo spegnimento del carbone incandescente, con lancio di palate di terra fine e secca.
Per non ottenere un prodotto scadente, essendo il carbone un buon assorbente, i carbonai non usavano l’acqua per spegnere i tizzoni ardenti. Da duecento quintali di legna se ne ricavavano dai 40 ai 50 di carbone vegetale.
Il carbone di legna, raccolto e imballato in sacchi di juta, caricato sui carri agricoli, era trasferito nei centri abitati per essere venduto.

Carretto carico di sacchi di juta contenenti carbone vegetale.