ESCAPE='HTML'
 ESCAPE='HTML'
 ESCAPE='HTML'
 ESCAPE='HTML'
 ESCAPE='HTML'

ARATRO CHIODO

 ESCAPE='HTML'
 ESCAPE='HTML'


IL FORCARO

Scoprire la storia degli uomini del passato, i modi come producevano i beni utili alla sopravvivenza umana, con tanta fatica, sudore e forza di volontà, dev’essere un impegno quotidiano per non dimenticare le nostre origini.
Nel Medioevo, i maestri d’ascia o carpentieri, erano esperti nella scelta degli alberi da cui ricavare le assi da incurvare, per formare il fasciame delle navi, delle carrozze, le ruote dei carri, gli aratri e i vari oggetti d'uso comune in agricoltura.
Nell’Arsenale di Venezia, per costruire un galeone s’impiegava il legno di circa duemila grandi alberi di quercia.
Sino a circa una trentina d'anni fa il legno di quercia era lavorato da bravi artigiani nocesi che utilizzavano piccoli attrezzi manuali, sempre gli stessi, da interi secoli, realizzati da fabbri, per costruire oggetti che i contadini usavano in campagna. Ogni artigiano del legno aveva sviluppato capacità a riunire i vari pezzi ad incastro, sì da ottenere un oggetto abbastanza robusto e molto resistente.
I nostri boschi di quercia, roverella e faggio erano una gran risorsa per tutti gli artigiani del legno che intendevano produrre oggetti da impiegare nella vita quotidiana.
Erano i boscaioli che, durante i mesi invernali, abbattevano gli alberi e, da questi, selezionavano le varie parti: tronchi per ottenere tavole e traverse, rami lunghi adatti per ricavare cime, forche di varia lunghezza, a due o tre punte e, dentali per aratri chiodo.
Tutto il legno suddetto era messo sui traini e trasferito dai carrettieri presso i vari laboratori artigianali, per essere lavorato con asce e pialle e produrre così gli oggetti finiti.
Al largo San Domenico, a Noci (Ba), in un vasto locale interrato, lavoravano i Gabriele, padre e figlio, che erano esperti a produrre forche di varia grandezza che i massai utilizzavano per rimuovere i covoni o la paglia sull’aia, nel periodo della trebbiatura.
Producevano, in modo particolare, aratri chiodo, comunemente conosciuti come “FORCHE”.
Erano aratri più rifiniti e perfetti, ma simili a quelli usati in epoca romana e Medioevale. Tre i pezzi principali che gli artigiani mettevano insieme: il ceppo, la bure e la stegola. Il ceppo, conosciuto con il nome di dentale, era il pezzo di legno di quercia su cui fissavano una piastra ricurva di ferro, a forma d’imbuto schiacciato: il vomere che serviva per tracciare i solchi nel terreno.
La bure, il corpo portante dell’aratro, era l’asse ricurva che essi collegavano per un'estremità alla bure e, per l’altra alle cime: due assi ricurve fra le quali, per far funzionare l'aratro, sarebbe stato posto il cavallo per il traino.
La stegola era collegata alla bure in un incastro; serviva al contadino per guidare l’aratro.
Tutti i pezzi, opportunamente lavorati, modellati e curvati, dopo essere stati tenuti sulla fiamma, erano riuniti con maestria dagli addetti ai lavori.
I clienti abituali dei suddetti artigiani erano i massai, i contadini, gli zappatori e gli stessi boscaioli, che spesso, si facevano modellare manici di zappe, zapponi, mannaie, asce e quant’altro doveva essere usato per la pratica delle attività manuali.
Nei giorni odierni la figura del forcaro è solo nel ricordo degli anziani, di quanti, per tutta la vita, hanno lavorato la terra che noi calpestiamo quotidianamente, per solcarla con l’aratro e porvi quel seme che avrebbe rigenerato frutti per la sopravvivenza.
Ognuno intendeva il lavoro come missione, impresa quotidiana da affrontare con forza di volontà, dovere verso gli altri, anche se costava una fatica immane che non concedeva soste.
Uomini temprati, duri per un'esistenza altrettanto tenace.