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LA VENDEMMIA

Ottobre è il mese della vendemmia. Coloro che possiedono un piccolo o gran vigneto si dedicano con cura alla raccolta dell’uva da vino che, messa in bigonce, casse e ceste, è trasferita alla cantina per essere pigiata e trasformata in prezioso vino.
In passato ogni fazzoletto di terra era sfruttato per l’impianto di ceppi di vite, persino le ripide scarpate, opportunamente modellate a terrazze attraverso costruzioni di muri a secco, mettevano in bella mostra viti che avevano prodotto e portato a maturazione il sapido e profumato frutto. Inoltre, le pergole di questo pregiato frutto abbellivano le facciate principali dei trulli o delle costruzioni a lamia, oltre che ombreggiare nei mesi di calura. Anche nel nucleo abitato, tra vicoli e piazzette, i pergolati, adornavano case e loggiati.
I grappoli di una fragola bianca, di pizzutello e d'altre varietà da tavola, liberati d'acini secchi o rotti, si appendevano alle travi del soppalco dei trulli o si ponevano su sporte e canestri per conservarli appassiti per i mesi successivi, sino alle feste natalizie. Ad esempio, l'uva Sultanina, apirena ossia priva di vinaccioli, era essiccata al sole e utilizzata, in seguito, per preparare dolci.
Per tutto il circondario del paese, sino ai primi boschi, vi erano molteplici vigneti: viti coltivate ad alberello che producevano uva bianca o nera, a elevato tasso zuccherino, e da cui si sarebbe ottenuto un ottimo vino da pasto, e suscitando la gioia di tanti uomini dalle mani callose e con il volto segnato da profonde rughe.
Sul nostro territorio sono coltivati quattro tipi di uva dai quali si ricavano i seguenti vini: Primitivo, Agrodolce, Verdeca e Malvasia.
Di tutto il patrimonio viticolo, a Noci, ben poco è rimasto, oramai è mutato il modo di vivere, la volontà della gente a produrre in proprio per il fabbisogno della famiglia.
Intanto, cambiano le tradizioni e, di tutto quel movimento di carri e carretti che trasportavano bigonce colme d'uve, di quell’odore caratteristico del mosto che fermentava nei grandi tini delle cantine, che numerose si contavano nell’abitato, si stanno perdendo nella notte dei tempi.
Pochi concittadini, ancora, forti nei propositi e per aver ereditato le tecniche della vinificazione, ottengono vino dalle uve che producono da sé o che comprano da alcuni paesi del Salento: Manduria, Oria, Mesagne. Oggi, i giovani consumano bibite dal gusto esotico, che niente hanno di naturale, prodotte dalle industrie multinazionali e propagandate dai mezzi di comunicazione.
Si dimenticano i cibi genuini, i prodotti naturali, per consumare quelli artificiali. Il fascino della campagna, con i suoi colori variopinti delle stagioni è messo in pericolo dall’uomo moderno e dalle sue attività. La coltivazione della vite e la raccolta dell’uva sono rievocate nella storia umana e nelle memorie bibliche.
Fino agli anni trenta del secolo scorso, i contadini riproducevano le viti attraverso le talee che ricavavano da un tralcio prelevato da una pianta. Le talee, della lunghezza di 35-40 centimetri, interrate per i ¾, originavano le barbatelle che erano messe a dimora per formare il vigneto.
La suddetta pratica è stata possibile sino a quando, in Italia, comparve la fillossera, un afide che distruggeva l’apparato radicale delle piante di vite, decimandole.
Adesso, la vite americana, resistente all’afide, è impiegata per eseguire impianti di vigneti. Sulle viti americane si eseguono gli innesti delle varietà prescelte.
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Pergolato davanti ad un trullo.

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Pergolato  lungo la facciata principale di una masseria.

Pergolato a più livelli, lungo il muro di una casa storica. 

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Nell'immagine si notano le piante di fico e di vite coltivate lungo i muri a secco, per farle sopravvivere all'arsura estiva.

Traino carico di bigonce colme d'uva da pigiare.