GLI ORTOLANI

Fra le attività manuali del passato, particolarmente comuni a Noci, non va dimenticata quella dell’ortolano: figura che, più comunemente, era conosciuta con il nome di “ù giardinìre”.
Attorno alla periferia del paese, verso valle, tanti terreni erano coltivati a ortaggi, da intere famiglie che sopravvivevano dai proventi rivenienti dalla vendita diretta degli ortaggi stagionali. L’ortolano, sin dalle prime ore del mattino, spingeva il suo carretto per le strette vie del paese, su cui aveva sistemato i prodotti dell’orto, raccolti il giorno prima, nelle ore pomeridiane.
Alcuni ortolani, per alleviare i propri sforzi, facevano trainare a un asino il carretto carico di verdura da vendere.
Il rumore prodotto dalle ruote dei carretti che si muovevano sulle stradine basolate con pietre calcaree, ma anche il vociare dell’ortolano, attirava l’attenzione delle massaie che scendevano in strada per eseguire gli acquisti.
In passato, i più comuni prodotti locali, provenienti dalla pratica dell’agricoltura, raccolti giornalmente, erano venduti sulle strade del centro abitato.
Mancando gli odierni sistemi di conservazione degli alimenti, basati sull’impiego della tecnica del freddo, ognuno comprava giornalmente tutto ciò che doveva servire in cucina.
I prodotti naturali, se abbondavano in alcuni periodi dell’anno, potevano essere conservati solo dopo il totale essiccamento, oppure trattati attraverso l’aggiunta d’alcune sostanze naturali che fungevano come asettici.
Attorno agli anni sessanta del secolo scorso, per via dell’elevata richiesta d’ortaggi nelle città dell’Italia settentrionale, specie nei mercati generali di Milano, gli ortolani nocesi producevano grandi quantità di rape e, una o più volte la settimana, facevano confluire la propria verdura in una zona di raccolta che, di solito, era sulla via che conduceva presso la Chiesa della Madonna della Croce. Noi, ancora scolari delle scuole elementari, nel tornare alle proprie case, poste nelle zone periferiche del paese, osservavamo il lento movimento degli asinelli che trainavano i carretti carichi di fasci di rape. Notavamo un gran movimento d’ortolani attorno ad alcuni camion, ricoperti con un gran telone, su cui, svariate persone, rimediavano a stipare la verdura, alternandola con blocchi di ghiaccio che doveva servire per refrigerarla, giacché il viaggio doveva durare qualche giorno.
Si rammenta che parecchi nocesi, dopo la seconda guerra mondiale, emigrarono a Milano, alla ricerca di lavoro. Furono proprio loro, dove poterono, fra le famiglie che ebbero modo di conoscere, a propagandare il nostro tipico piatto a base di cavatelli e rape, condito con olio in cui erano state soffritte alcune sarde conservate sotto sale nelle capase (contenitori a forma cilindrica) di terracotta. I nostri nonni consumavano le rape, dopo averle lessate e condite con olio crudo, con un buon piatto di fave spuntate. Queste ultime erano l’alimento quotidiano della povera gente.
Con la continua evoluzione della società umana, nei giorni odierni, l’ortolano nostrano sta scomparendo, assieme ad una tradizione che era tipica della realtà territoriale di Noci e della sua comunità d’uomini fattivi.
L’umile ortolano, se tale si vuole considerarlo, ha contribuito allo sviluppo del paese, ma anche a far conoscere e apprezzare, ad altra gente, i sapori forti dei prodotti della nostra terra.

Un ortolano accanto al suo carretto carico di cassettine contenenti verdura.

Ortolano impegnato a innaffiare le piantine nell'orto.

Vecchio sistema di trasporto dell'acqua in botte collocata sopra un traino.

L'ortolano zappetta le piante di zucchino.

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