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La pietra calcarea: risorsa del nostro territorio.

Il territorio di Putignano, costituito da rocce stratificate di tipo calcareo, è caratterizzato da una serie di terrazzi irregolari con scarpate variamente modellate ed orientate. Gli strati calcarei di colore biancastro sono conosciuti come “pietra viva” mentre, quelli di colore grigio, con il nome di “pietra livida”.
Da sempre, questa risorsa locale, è stata utilizzata come materiale di base per edificare le tipologie abitative del nucleo storico della nostra cittadina e le tante masserie, in campagna.
Dagli ammassi della roccia calcarea stratificata si ricavavano conci di varia dimensione che, opportunamente squadrati, di solito a forma di parallelepipedo, erano impiegati per realizzare muri perimetrali, pilastrini, architravi di vario tipo, balconate ed altro.
I pezzi di roccia lastriforme furono impiegati per pavimentare ambienti, piazzette e stradine del paese (strade basolate), specie quelle in pendio, per ovviare alle solcature che l’acqua piovana produceva quando scorreva, precipitosamente, verso gli avvallamenti della collina.
Le “chiancarelle”, lastre di pietra a spessore più sottile, furono impiegate dai maestri trullari per ricoprire le volte coniche dei trulli e quelle a botte delle altre tipologie abitative, attraverso la strutturazione di due spioventi. Cavamonti, petraruli e scalpellini sono stati gli artigiani della lavorazione della pietra, nonché una valida testimonianza della cultura dei nostri padri. I cavamonti provvedevano all’estrazione dei blocchi di pietra dalle cave (i petrére) che a Noci, paese confinante con Putignano, si trovavano a sud dell’abitato, ad alcuni chilometri di distanza, lungo le antiche arterie che dal nucleo abitato si diramavano verso Alberobello, Martina Franca e Massafra. Nelle vicinanze di quest’ultima strada, da una cava, si estraeva una pietra venata di nero (a péta nera) da cui è derivato il nome assegnato alla contrada, utilizzata per scolpire colonne e capitelli di un certo pregio.
I cavamonti, dopo aver individuato la zona dove era presente il tipo di roccia che volevano sfruttare, con l’uso di zapponi, zappe, vanghe, mazze e pali metallici, con un'estremità a cuneo, iniziavano a sbancare e a determinare i vari strati di roccia che in gergo locale chiamavano “sedute”. Iniziavano dal primo strato a staccare i blocchi di pietra, operando con cunei o con mine.
Il primo sistema consisteva nell'incisione di una fessura profonda alcuni centimetri per tutta la parte perimetrale del blocco che si voleva staccare, per inserire lamine e piccoli cunei di ferro. In successione, battendo sui cunei con una mazza, a più riprese, il blocco si staccava dalla roccia.
Il secondo sistema, quello delle mine, era basato sullo scoppio della polvere da sparo che si collocava in un foro profondo una sessantina di centimetri, ricavato in senso orizzontale, alla base dello strato che si doveva staccare. Il foro era ottenuto con una “burnella”, un’asta metallica dotata di una punta a scalpello e di una testa su cui, un operaio, batteva con la mazza di ferro. Un secondo operaio rimediava a far ruotare l’asta, dopo ogni colpo della mazza, affinché continuasse a penetrare. Nel foro, per non surriscaldare la punta metallica, si versava un poco d'acqua.
I detriti che si formavano erano estratti con un’asticella a punta ricurva. Ultimato il foro, asciugato con polvere e uno straccio, si riempiva di polvere da sparo, costituita di carbonella, nitro e zolfo. Infine, introdotta la miccia e avviata la combustione, i cavamonti si allontanavano e attendevano lo scoppio e il buon esito dell’operazione.
A questo punto entravano in azione i “petraruli” che provvedevano alla sbozzata dei vari blocchi e alla loro classificazione per qualità e tipo. I blocchi, caricati sui traini, dapprima erano trasportati dai carrettieri presso i cantieri, dove si edificavano case di pietra, e poi modellati e rifiniti in singoli pezzi dagli scalpellini che li collocavano in opera.

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