I RICORDI DEL PASSATO

Nei ricordi della mia fanciullezza trascorsa in campagna, in una casina, nelle vicinanze della macchia di fragno che distava pochi chilometri dal paese di Noci, occupano un posto rilevante le scorribande nei campi di grano ricchi di papaveri: piante erbacee che finiscono con uno o più fiori a grandi petali rossi.
Andando per le stradine coperte di pietriccio vedevo, ai lati delle solcature prodotte dalle ruote dei carri agricoli, verso i muri a secco che le delimitavano, i tralci dei folti rovi spinosi che finivano con tanti frutti invitanti: more nere di cui io ero molto ghiotto.
Di ritorno da scuola, vestito con il grembiule azzurro e un colletto bianco che chiudevo sul davanti con un gran fiocco pure di colore azzurro, in autunno, ma anche per tutto l’inverno, coglievo dai tralci spogli degli arbusti della rosa canina le bacche rossastre, tendenti all’oscuro, che aprivo e liberavo dei semi che contenevano, per succhiare la restante parte carnosa, dolciastra e ricca di vitamina C.
La stessa pianta, a primavera, si vestiva di foglie e produceva nuove infiorescenze costituite, ognuna, da cinque petali di colore lilla, collegati all’ovario che presentava tanti stami di colore giallo oro. I lunghi tralci fioriti davano un tocco caratteristico e bello ai muri a secco e al paesaggio naturale.
Ricordi di una natura non più presente sulle nostre strade che sono state modificate, ricoperte di asfalto e inquinate dai gas di scarico delle automobili, ricche di rifiuti di ogni tipo, abbandonati dall’uomo incurante della natura.
L'ora in cui mi recavo a scuola, quando i primi raggi di Sole riscaldando la brina che rivestiva le foglie la fondevano, facendola evaporare, incontravo tanti uomini ancora giovani, altri incanutiti e curvi, muniti di bisacce messe a tracollo o di un fagotto, che si recavano in campagna al lavoro. Tutti rispondevano ben volentieri al buongiorno che io indirizzavo loro.
Quel mio saluto, quello di tanti coetanei, era sinonimo di rispetto verso i più grandi. Questi, guardandoci, acquisivano fiducia e coraggio alla vita, ad affrontare gli stenti, i sacrifici, la fatica che per tutto il corso della giornata avrebbero sostenuto.
Una vita fatta di cose semplici, in una natura che ti ripagava con i suoi colori variopinti delle stagioni dell’anno che infondevano speranze innate, attese.
All’imbrunire ognuno riprendeva la strada del ritorno a casa, per riposarsi e temprarsi.
Durante i mesi estivi, parecchi lavoratori della terra, per ovviare alla fatica del viaggio di andata e ritorno, pernottavano in campagna in uno o due trulletti da loro edificati in annate precedenti.
La mattina, di buon’ora, si alzavano per respirare a pieni polmoni l’aria fresca e pura che sapeva di rugiada, prima di riprendere il lavoro sotto i raggi del Sole che avrebbero reso cocenti le loro carni.
Chi viaggiava in bicicletta per le strade brecciate, scendendo velocemente verso gli avvallamenti, si lasciava accarezzare dalla brezza del mattino. Destava una sensazione particolare, piacevole, respirare quell’aria ricca di ossigeno e salubre che le grandi querce immettevano tutt’intorno, sin dall’alba.
Lì, più tardi, quando il Sole, alto nel cielo, con i suoi raggi avrebbe riscaldato la terra, all’ombra delle chiome delle grandi querce, si sarebbero fermati a sostare i carrettieri e i viandanti, per ritemprarsi prima di raggiungere la meta prefissata.
Il tempo passa, si susseguono tante primavere e la terra continua a rinnovarsi, mentre cambiano le generazioni umane.

More mature.

Mirtillo selvatico.

Frutti di biancospino.

Bacche di rosa canina.

Papaveri.

Chiusura coperta di fiori.