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I PASTORELLI

Quando il nomade, dedito alla pastorizia, iniziò a frequentare il nostro territorio, notò che esso offriva buone risorse per la sua sopravvivenza. Si serviva del legno per costruire ripari e recinzioni per gli animali che allevava. Successivamente, stanziandosi nei nostri territori, cominciò a dedicarsi all’agricoltura, dissodando con attrezzi rudimentali lembi di terra a valle dei pendii, presso doline, dove per alcuni mesi dell’anno l’acqua piovana stagnava.
La pietra calcarea, staccandosi a strati dalla roccia madre e ostacolando la coltivazione delle piante, veniva utilizzata per delimitare i terreni coltivati e per realizzare recinti per la custodia delle greggi.
Con la costruzione dei muri a secco, l’uomo migliorò le proprie competenze e poté edificare le prime tipologie abitative a trullo. I trulli rappresentano un valido modello per la costruzione delle masserie in pietra con tetti spioventi: tipiche costruzioni del nostro territorio che iniziarono a fiorire attorno al 1600.
La masseria fu intesa come insediamento umano e produttivo di beni di prima necessità per uomini ed animali.
Infatti, gli uomini presero come modello la costruzione dei trulli a schiera, intercomunicanti tra loro e utilizzati come ricoveri per animali. Si edificarono vani abitativi a base quadrata o rettangolare, con tetto a “pignon”, cioè a due spioventi, simile a quello dei trulli per struttura e materiale (chiancarelle) con la stessa funzione, ovvero far defluire l’acqua piovana verso le scoline in pietra e, per mezzo di canaline verticali di terracotta, fino alla cisterna scavata nel sottosuolo.
Inizialmente, il tetto a “pignon” era sostenuto da travi lignee, poi da una volta a botte realizzata di pietra, e successivamente venne arricchito con soppalco ligneo e finestre sulle testate. Questi grandi “lamioni” furono utilizzati per abitazione, per deposito di foraggi e come stalle.
Sul soppalco, raggiungibile a mezzo di una scala a pioli, si conservavano le derrate alimentari (legumi, cereali, frutti secchi, olio ed altro) necessarie per la comunità che abitava la masseria. Da sempre, i nostri massai hanno posseduto vaste competenze nel settore sia dell’allevamento sia della coltivazione dei terreni per produrre cereali, legumi e piante foraggere.
In passato, i braccianti, sia zappatori, aratori, sia mietitori e addetti alla trebbiatura, per mancanza di veloci mezzi di locomozione, dimoravano per periodi più o meno lunghi presso le grandi masserie, lontano svariate miglia terrestri dal centro abitato di Noci.
Alle attività di allevamento, considerate meno degne rispetto ad altre, si dedicavano bovari, vaccari e pastori.
Nella masseria si allevavano animali da cortile, maiali, capre, pecore, vacche, buoi e cavalli, queste due ultime specie utilizzate come animali da tiro e da traino.
A Noci, sulla pubblica piazza, il giorno in cui si festeggiava San Domenico, che ricorreva il quattro agosto, i massai ingaggiavano per un anno i “vualani” (pastori e vaccari). Costoro venivano compensati in parte con denaro e per il resto con gli stessi prodotti dell’allevamento e dell’agricoltura (formaggio, agnelli, grano ed altro).
I “vualani” tornavano alla propria dimora ogni quindici giorni o una volta al mese per lasciare gli indumenti sporchi e prelevare quelli puliti. Soltanto nelle grandi ricorrenze rimanevano con la propria famiglia un’intera giornata.
Dal mattino sino alla sera, gli addetti all’allevamento del bestiame operavano in ambienti malsani e poco igienici, e anche il loro riposo notturno veniva fatto in pagliai o nella stessa “vualania”, piccolo ambiente distaccato dall’abitazione del massaio, situato nelle vicinanze di stalle o fienili. In questi ambienti, si trovavano giacigli formati da tavole sostenute dai cavalletti in legno o in ferro, e sulle quali vi erano sacconi ripieni di paglia d'orzo o di foglie di mais.
D’inverno nella “vualania”, accanto al caminetto, pastori e vaccari asciugavano i propri abiti bagnati di pioggia e consumavano i frugali pasti a base di pane e fave, spuntate e cotte in una pignatta, messa accanto alla legna che ardeva nel caminetto.
A quei tempi i fanciulli che vivevano in famiglie miserevoli, costretti dai propri genitori, abbandonavano la scuola per lavorare come pastorelli nelle masserie.
Ogni pastorello, che a volte aveva appena sette anni di età, con il suo gregge di pecore e capre andava solitario per pascoli incolti, macchie e boschi di appartenenza alle masserie.
Nei mesi invernali, il pastorello avvolto in un pesante e trasandato pastrano per proteggersi da freddo e pioggia, trascorreva la giornata in solitudine.
Non aveva amici con cui giocare, né i genitori che lo rincuorassero con parole dolci, era ignaro del perché dovesse sorvegliare il gregge.
Il giovane pastore era costretto dalla miseria della sua famiglia. Intanto il tempo trascorreva e il bambino continuava ad andare in solitudine con i propri pensieri, con i propri sogni, con la speranza che il domani sarebbe stato migliore.
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Serie di trulli utilizzati per il ricovero di animali.