Braccianti (potatori) che si rifocillano.

I BRACCIANTI

Il grano è stato, come lo è ancora oggi, l’alimento base per la sopravvivenza umana. Esso frantumato e ridotto a farina serviva per ottenere il pane fatto in casa.
Fino al 1960 a Noci si coltivavano due varietà di grano tenero: la Rossetta e la Bianchetta dalle cui cariossidi si ottenevano le farine impiegate per panificare e per pastificare in casa. Successivamente, negli avvallamenti e nei canali, s'iniziò a coltivare una varietà di grano duro: il Cappelli, adatto per ottenere la semola da impiegare nella produzione della pasta. Il “Cappelli”, che cresceva eccessivamente in altezza, si piegava sotto l’azione delle tarde piogge primaverili e dei venti, producendo cariossidi poco turgide (povere di glutine) e destando difficoltà agli addetti alla mietitura, pertanto, nei giorni odierni, non è più coltivato.
Dopo il quindici agosto, con l’avvento delle prime piogge che seguivano ad un lungo periodo di siccità, i massai ingaggiavano i braccianti da impiegare nella prima aratura dei terreni. In questo periodo, restaurati gli aratri chiodo e quelli monovomere, si provvedeva a domare e istruire gli animali giovani da traino al tiro corretto degli stessi. Con la rottura dello strato di terra coltivabile, arso dai cocenti raggi del sole, era ormai avviata la nuova annata agraria. La campagna si rianimava di voci, di canti, di suoni, di speranze innate, di persone che vivevano con gioia la semplice vita.
Tanti anni fa gli aratri monovomere, abbastanza pesanti perché dovevano scassare la terra, erano trainati da una coppia di buoi (ù paricchìe).
Il giogo di legno di quercia, posto di traverso sul collo dei due buoi e collegato alla bure dell’aratro, li accoppiava per il lavoro d'aratura.
Successivamente, i lenti buoi, furono sostituiti da muli e cavalli. Oggi, di tutta questa civiltà contadina, rimane il ricordo degli anziani.
A fine settembre, terminati i lavori di scasso, si realizzava con l’aratro chiodo una seconda aratura più superficiale e trasversalmente alla prima. A novembre si seminavano i cereali. La semina avveniva nel solco aperto, ad opera di una donna che seguiva l’aratore, oppure a getto di manciate di grano (a stracqua), da parte di un uomo, sulla porca: porzione di terreno larga 5-8 passi, in base alla forza di gettata di chi seminava, lunga da un estremo all’altro del campo.
Ogni porca era delimitata da due solchi aperti e paralleli tra loro. Completata l’aratura per l’interramento dei semi, si spianava il terreno e si rompevano le zolle con l’erpice (à tràgghe).
Dopo la semina, con l’avvicinarsi dei primi rigori invernali, ogni capo famiglia faceva riserva di legna da ardere nel caminetto.
Nottetempo, per non farsi notare, i più poveri andavano nei boschi che distavano alcuni chilometri da Noci a raccogliere la legna per fare “a sarcène” che sulle solide spalle portavano in paese.
Chi disponeva di un piccolo pezzo di terra, dopo la potatura degli alberi da frutta, produceva il carbone e la carbonella che la propria famiglia doveva bruciare nei bracieri domestici lungo i mesi più freddi dell’inverno.
Il venticinque dicembre, ricorrenza del Santo Natale, festa tanto attesa da piccoli e grandi, le famiglie si riunivano in armonia e completavano il più abbondante pasto dell’anno con noci, nocelline e cartellate rivestite di vino cotto: liquido vischioso, zuccherino e di colore oscuro, ottenuto dalla cottura e spremitura dei fichi.
Durante le nevicate invernali, le mamme, utilizzavano il vino cotto per condire la neve ghiacciata e preparare così la granita casalinga da far gustare ai propri figli.

Aratura con buoi.

Bue al traino di un carro.

Zappatore nell'orto.

La semina a spaglio del grano.

Aratore.

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Cavallo con collare adatto per trainare un aratro chiodo.

Collari per cavalli: utilizzati in passato per il traino di aratri.

Aratori.