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IL MANISCALCO O FERRACAVALLI

Gli uomini del passato, quotidianamente, per soddisfare i loro bisogni, eseguivano azioni come sollevare, trasportare, tagliare, unire, battere e altro. In seguito, per alleviare la propria fatica, iniziarono a sfruttare i buoi e i cavalli: validi animali da tiro.
Nel Medioevo, dopo l’anno mille, l’uomo riuscì a ridurre il consumo degli zoccoli dei cavalli attraverso la ferratura chiodata, giungendo così a sfruttare al meglio e per tempi più lunghi i suddetti animali.
Coloro che si dedicavano alla ferratura dei cavalli erano i maniscalchi: artigiani che provvedevano, talvolta, alla tosatura del pelo, all’accorciatura della criniera e alla strigliata dell’animale. Ogni maniscalco aveva la propria bottega in periferia, accanto ad uno spiazzo dove, gli acquirenti, potevano parcheggiare traini, calessi e carrozze, o nelle vicinanze d’arterie stradali che collegavano Noci ai paesi limitrofi.
Alcuni artigiani impiantavano la bottega nelle vicinanze di una locanda o di una stalla a uso pubblico, per avere maggiori commesse di lavoro. Altri, accanto alla bottega, avevano una propria stalla, dove custodivano i cavalli da ferrare.
I carrettieri, dediti al trasporto delle merci e delle derrate da un paese all’altro, muovendosi su strade lastricate o brecciate, sottoponevano i cavalli, una volta, nel mese, all’attenzione del maniscalco che provvedeva al cambio dei ferri, ormai logori.
I Cavalli utilizzati per il lavoro dei campi o che si muovevano sul terreno, potevano essere riferrati dopo alcuni mesi.
I massai che conducevano grandi estensioni di terreno, verso l’autunno, radunavano i numerosi cavalli che, per il pascolo estivo, avevano lasciato liberi nei boschi di pertinenza della masseria e li preparavano a poter affrontare l’aratura dei campi. Ogni massaio, recatosi in paese, faceva accomodare il maniscalco e il suo garzone sul calesse e li conduceva in azienda, affinché provvedessero al controllo e alla ferratura degli zoccoli dei cavalli.
Il maniscalco aveva numerose serie di ferri di varie dimensioni, adatti per ferrare cavalli, muli e asini che, un bravo fabbro allestiva nella propria officina a seguito di una commissione.
Il mattino, dopo essersi messo il gran grembiule di cuoio, l’addetto alla ferratura dei cavalli, aiutato da uno o più garzoni, avviava la combustione del carbone fossile nella fucina, ove doveva forgiare i ferri per poterli, poi, modellare sull’incudine in base alla grandezza degli zoccoli dei cavalli.
Ogni zoccolo era osservato con perizia dal maniscalco, accorciato con particolari coltelli e pareggiato con raspe, prima che tenesse conto di fissare il ferro con chiodi a testa quadrata che infilava attraverso i fori prodotti nel ferro dal fabbro.
Nei tempi passati, prima dell’avvento dell’automobile, a Noci erano parecchi coloro che si dedicavano alla ferratura dei cavalli perché massai, carrettieri, ortolani e proprietari terrieri avevano uno o più cavalli che utilizzavano per trainare mezzi di locomozione e mezzi agricoli.
Sono da ricordare i fratelli Andrea e Michele Recchia, detti “i mèst Larinz” perché figli di Lorenzo, maniscalco fondatore di una bottega al Largo Torre (sobbe a u muntètt), il signor Laforgia Antonio, in via B. Petroni, Leone Vito (detto u Putignanese), Peppino Marinuzzi (detto u Giagante), Nicola Laera (detto Colino u Russ), in via Cavour, che furono i maestri dell’ultimo maniscalco rimasto a Noci: Matarrese Angelo Marino (Ninuccio) con la bottega al largo San Sebastiano.

Fucina

Incudine

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Cavalli radunati per essere ferrati.