LA RACCOLTA DELL′ACQUA PIOVANA

Al fine che le nuove generazioni possano comprendere meglio il presente e riflettere sulla propria operosità futura, i ricordi della nostra memoria, uniti a quanto c’è stato esposto da persone anziane, ci sollecitano a raccontare il vissuto contadino dei nostri avi.
Da sempre l’acqua è stata un bene prezioso per l’uomo e per la vita; pertanto i nostri antenati poiché vivevano in un ambiente che ben poca ne offriva, inventarono i vari sistemi di raccolta e conservazione dell’acqua nelle cisterne scavate entro la roccia calcarea.
Parecchie erano le case che, nel centro storico di Noci, avevano una cisterna di pietra per la raccolta dell’acqua piovana. Nei vicoli e nelle piazzette si affacciavano imbocchi di cisterne più capienti perché servivano per la pubblica utilità.
In periferia, nelle vicinanze delle porte d'accesso al centro abitato, le grandi “fogge”, ove si conducevano gli animali domestici per dissetarli, erano dotate di svariate pile di pietra incavata.
Una testimonianza storica è la “Foggia di Posillipo”, sulla strada per Martina Franca.
Molte altre fogge, ancora in buono stato di conservazione, si possono ammirare lungo le arterie stradali che portavano e conducono ai comuni limitrofi del nostro paese.
I carrettieri che commerciavano le risorse della nostra terra, i contadini, i pastori e i viandanti lì si dissetavano, abbeveravano le proprie bestie e dopo una breve sosta si rimettevano in cammino sulle strade brecciate e polverose.
Proprio da queste strade, in pendenza, l’acqua piovana era fatta confluire verso la foggia, giù a valle, sul ciglio della via, ove si raccoglieva.
Nel nucleo abitato, le acque piovane, si raccoglievano dalle stradine basolate di pietra, oppure dai tetti spioventi delle abitazioni.
Quest’ultima acqua era meno inquinata da sostanza organica e quindi più igienica e alquanto potabile.
Si rammenta che l’acqua per essere potabile deve presentarsi incolore, inodore, insapore, batteriologicamente pura, con una temperatura tra cinque e quindici gradi centigradi e con sali minerali disciolti che non devono superare il cinque per mille.
Pertanto per assicurare l’autosufficienza d'acqua per tutto l’anno solare, la comunità, con l’aumento del fabbisogno, continuava a scavare cisterne di varia capienza nelle zone ove era più facile far confluire acqua piovana; in pratica negli avvallamenti che da noi sono conosciuti con il nome di “lame”.
Nell’Ottocento l’acqua potabile, considerata un bene economico, era venduta nel centro abitato di Noci da acquaioli ambulanti. Il fabbisogno pro capite di allora era di tre litri d'acqua, contro i 50-60 di consumo domestico attuale.
Ancora nell’Ottocento, le condizioni igieniche del centro abitato non erano delle migliori. La mancanza d’igiene e le fognature statiche oltre le mura di cinta furono le principali cause dello sviluppo delle malattie infettive.
Inizialmente il problema fu risolto con l’ausilio di carri a traino animale (“carrizz”) che, forniti di botti di legno o di metallo, servirono per la raccolta delle acque luride e per il loro trasferimento e accumulo in cisterne scavate nel suolo, lontano dal centro abitato (“abbasce a fognàture”).
Verso il 1915, anche Noci, come tanti altri comuni della zona, fu collegata all’acquedotto Pugliese e si dette il via alla strutturazione delle prime fontane a uso pubblico.
In seguito si realizzarono gli allacciamenti idrici alle singole dimore e si provvide alla costruzione di una fognatura dinamica, ove confluivano i residui liquidi della collettività. Oggi si nota un eccessivo spreco d'acqua, senza pensare alla raccolta, per avere una riserva nel caso di bisogno.
È consigliabile costruire sotto i nuovi edifici, cisterne adatte per la raccolta delle acque piovane da utilizzare per vari usi o per innaffiare i propri giardini.

Disegno di una fontana ad uso pubblico.

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Fontana monumentale, in Largo Garibaldi, a Noci (Ba).

Grande cisterna scavata nella roccia calcarea lungo il "Tratturello Martinese", presso la masseria "Colombo".

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Prelievo dell'acqua da una cisterna cittadina.

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