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LA CALCE VIVA: ANTICA RISORSA DEL TERRITORIO NOCESE

Tanti anni fa le zolle di calce viva (ossido di calcio) si ottenevano dalla cottura a 900-1000°C di pietre ricche di carbonato di calcio, ordinatamente disposte in particolari fornaci che erano attuate e utilizzate una sola volta sulla superficie di zone ove si praticava il disboscamento o il taglio del bosco ceduo. Il bosco ceduo, sulla “Murgia Barese”, è assoggettato al taglio con un ciclo di quindici anni per eliminare polloni di rigetto dalle ceppaie di quercia, roverella, leccio e arbusti, cresciuti attorno ad alberi di quercia d'età più elevata. La calce viva, prodotta nella fornace, se trattata con acqua, dava origine alla calce spenta o idrata che, mescolata con sabbia o impastata con altra acqua, formava la malta, impiegata come legante per innalzare muri di pietra. La calce aerea (latte di calce) era prodotta diluendo in acqua la calce spenta e poi utilizzata per pitturare interni ed esterni di fabbricati e di trulli che, per il loro candore, donavano un aspetto caratteristico ed originale del nostro paese. Ancora oggi, nel centro abitato di Noci, la gente deve applicare le medesime tecniche di pitturazione ed usare lo stesso “latte di calce” per preservare tale patrimonio storico dalle condizioni atmosferiche avverse e conservarlo, inalterato, ai posteri.
I bianchi edifici, essendo carichi d’identità, potranno far viaggiare i giovani osservatori nella memoria storica del luogo. La calce viva, di cui si è detto prima, era prodotta in una fornace improvvisata, chiamata in gergo locale “CALECARE” e che richiedeva, per la sua attuazione, artigiani nocesi esperti nella messa in opera della pietra: i “PARETARI” (costruttori di muri a secco).
Dopo l’abbattimento delle piante legnose del bosco, per opera dei boscaioli, i “CARICARULI”, addenti alla costruzione della fornace, sul sito scelto che, di solito, era quello di una lama (avvallamento del suolo) dove era più facile scavare una buca circolare, profonda qualche metro e con un raggio di 4-6. Ad iniziare dalla base della buca, i “PARETARI”, con le pietre lapidee raccolte nel circondario e trasportate in loco da altri operai, attuavano alcune stratificazioni e un piccolo abitacolo a cupola, alquanto simile alla volta interna di un trullo.
Sul ciglio della buca, attorno, strutturavano una muratura a secco e continuavano a disporre altre pietre sul focolaio, lasciando un’apertura di forma triangolare (arco matto o bilite) attraverso cui, in seguito, il “fornaciaio” avrebbe introdotto i rami di quercia (detti ramaglie o macchia in gergo locale) da bruciare nel vano interno della cupola (focolaio della fornace).
La struttura, sporgente dal suolo meno di due metri e a forma cilindrica, si completava con strati di pietrisco e terra che avrebbero ridotto al minimo la dispersione di calore dalla fornace.
A questo punto l’opera era pronta per essere messa in funzione. Gli operai, con l’aiuto di una fune o di un forcone, trasportavano e posavano le fascine (i sarcene), vicino alla fornace e, i fuochisti, dopo aver riempito il focolaio, avviano la combustione che non doveva essere interrotta per otto o nove giorni.
Per turni di lavoro, i fuochisti, continuavano giorno e notte ad alimentare il focolaio con l’introduzione di rami e, al terzo giorno, per l’elevata temperatura che si aggirava sui mille gradi centigradi, la pietra calcarea diveniva incandescente e cuoceva sino al nono giorno, trasformandosi in “calce viva” (priva d'acqua).
A questo punto l’alimentazione era interrotta e dopo qualche giorno si provvedeva alla demolizione della fornace, portando alla luce la calce viva che, caricata sui traini (carri agricoli), era trasportata a Noci o presso altri centri abitati della murgia barese per essere venduta a gente che l’avrebbe utilizzata per gli scopi detti prima.
Da ogni fornace si producevano dai 140 ai 160 quintali di calce viva. Attualmente la calce è prodotta in fornaci fisse, bruciando gasolio o gas metano.
Agli anziani “fornaciai” non rimane che raccontare la storia della loro vita per farci conoscere le nostre radici di gente nocese.